sabato 24 ottobre 2015

Quel che penso quindi è che nemmeno la filosofia marxiana sia riuscita ad essere esaustiva nel risolvere le problematiche della società, in particolar modo non solo quella della seconda metà dell'800, ma pure quella moderna e oggi post-moderna. Ossia la critica dell'idealismo di Hegel, con annessa una critica di un materialismo che secondo Marx alla fine non faceva altro che ricondursi allo stesso idealismo. L'incapacità di sanare davvero tutte quelle contraddizioni che caratterizzavano l'epoca del filosofo, ma pure economista, sociologo Marx, in un periodo storico in cui già si affacciavano le problematiche dovute alla massificazione di una società che risentiva delle trasformazioni produttive, sempre più frenetiche e iniziatrici di quelle dinamiche finanziarie che oggi vedono la loro totale maturazione e forse pure decadimento.
Ora facendo un salto all'indietro, parliamo un attimo del IV secolo A.C ad Atene, culla della civiltà democratica dell'antica Grecia. In Atene questo fu un periodo di crisi e di disgregazione sociale, l'equilibrio della società era stato messo in crisi dalla guerra del Peloponneso, ossia quella guerra combattuta tra il 431 A.C e il 404 A.C tra Sparta e Atene. Essa si concluse appunto nel 404 A.C con la vittoria della Lega Peloponnesiaca che aveva a capo Sparta. Gli agricoltori erano stati mandati in rovina dalla guerra, dalla crisi economica, dalle ferite occorse in guerra, impoveriti si trasferivano in città con il conseguente aumento della disoccupazione urbana, e dei disordini sociali. In questo panorama di scarsa speranza per il futuro, Platone (428-348 A.C) con la sua filosofia tentava di risolvere tutta questa serie di problemi che venivano a crearsi in una città retta da un governo oligarchico costituito dai trenta tiranni, imposto da Sparta, che oltre ad aver ottenuto una vittoria militare, ora imponeva pure una sua visione socio-politica. Fu appunto in questo contesto che Socrate, amico di Platone, sottostando alle leggi della città, bevve la cicuta e accettò di morire, rimarcando quindi come per questo filosofo fosse indispensabile per il cittadino osservare principi e leggi che costituiscono verità che non posso venire continuamente destituite di significato da chi in quel periodo travagliato della storia greca, metteva in vendita la propria capacità oratoria, mettendola al servizio di chi meglio sapeva pagare ottenere con il soldo la propria verità che si contrapponeva inevitabilmente ad altre verità, leggi ad altre leggi. Ogni legge o verità diveniva opinabile e di questo erano particolarmente esperti i sofisti.
Platone e il suo amico Socrate sentivano l'esigenza, nella loro epoca storica travagliata, di ritrovare verità che non fossero verosimiglianze, illusioni, ombre della verità che luminosa risplende in quell'Iperuranio platonico dove solo chi riesce ad elevarsi allontanandosi dalle opinioni, dalle doxa, per raggiungere finalmente quei bastioni solidi che sono i valori, le leggi che sole possono costruire una società in cui la civiltà umana possa davvero esprimere tutte le sue potenzialità.
Ed oggi a tanti secoli di distanza da quando visse Platone e Socrate, in fondo noi uomini del 2000, ci facciamo le stesse domande, dal momento che tutto viene posto in discussione e più nulla sembra certo e gli stessi canoni che hanno guidato sino ad ora le moderne democrazie sembrano vacillare di fronte a tante contraddizioni, sofferenze di un mondo che l'uomo ha creato ma in cui non tutti riescono a sopravvivere.
Quindi quali medicine poter fornire all'umanità ammalata sotto quel giogo che essa stessa si è creata, ossia quei modelli economici, che lo stesso Marx, tentò di mettere in discussione ma che continuano a permanere in quanto non sembra vi siano modelli alternativi.
Una di queste sicuramente non può che essere l'onestà, l'empatia per il prossimo, la solidarietà e la compassione. Come asseriva Platone, oggi c'è un gran bisogno di Giustizia, di ciò che è buono per noi, ciò che era bello per i greci, era anche buono. Ritrovare quella spinta in noi stessi che possa darci la convinzione di uscire da una spirale senza né più capo né coda. Lo spirito di adattamento dell'uomo, lo spinge a vedere nelle difficoltà che esso stesso si pone innanzi l'unica via da attraversare e adattandovisi se ne pone altre uguali in un circolo vizioso sempre uguale. L'eterno ritorno dell'uguale, noi uomini urleremo di paura per questo, ciò che è stato è esattamente uguale a quello che c'è e ci sarà diceva Nietzsche, ma noi possiamo ritrovare la strada, dico io, uscire dal circolo vizioso e pensare di poter fondare una civiltà migliore, spostarci dalla dimensione atomica democritea per cui siamo vittime e cozziamo tra noi casualmente come tante vetture che attraversano una rotonda, salvo urtarci qualche volta, e invece una visione finalistica della vita per cui è giusto che chi vive possa pensare ad un futuro diverso dal passato.
In fondo molti filosofi che intravvedevano la crisi dei valori che oggi è all'apice, speravano in un ravvedimento delle politiche, dei governanti, delle cattedrali governative, nella speranza che le guerre finissero, che l'uomo capisse che la vera felicità non è masochisticamente inseguire il sogno ancestrale di una rivoluzione semidivina nei confronti di una Natura da piegare oltre che da conoscere a tal punto da scoprirne tutti i segreti, ma al contrario sentirsi già compiutamente parte di quella Natura e quindi non vederla più né oggettivamente e nemmeno soggettivamente ma quanto un tutto di cui noi siamo parte. E in questo tutto che è l'essere dell'esistente, noi viviamo ma abbiamo pure i nostri valori, leggi eterne che non sono semplici idee proiettabili nell'Iperuranio.
Le leggi sono quelle che ci permettono di esistere come uomini nella Terra senza farci del male l'un l'altro, avendo rispetto per noi stessi. Esse oltre che da una logica che ci fa comprendere come il male alla fine sia uno svantaggio, sono leggi morali ed etiche che hanno una tradizione antichissima forse più antica dei testi biblici le cui radici affondano nella storia dell'uomo.
Da quando l'essere umano capì cosa era la morte e quindi ebbe un senso di pietà e dolore che lo contraddistinse dagli altri esseri della Terra.
La sensazione quindi è che oggi Giustizia e Leggi ci sfuggano. Chi ci governa proclama le proprie buone intenzioni e spesso cerca di appianare le varie divergenze, ma più appiana più i corni divergono tra loro, si contraddicono, testimoniano la loro assurdità. C'è chi protesta e perora la sua causa, ma è tutto inutile, "nel 2016, il debito si ridurrà, ...nel 2017, le cose andranno meglio,...solo nel 2020 l'Italia riuscirà finalmente ecc.". Tutto sembra essere spostato in un tempo ulteriore che metafisicamente si staglia oltre un orizzonte che alla fine però ti mostra sempre un mondo esattamente uguale a quello che si è lasciato, se non peggiore.
Quindi ciò che è metafisico non è tanto la cosiddetta "ideologizzazione" di chi pretende ed è giusto che sia così, che la propria condizione di povertà possa mutare, ma è piuttosto metafisica chi insiste a posporre il raggiungimento di obbiettivi che come illusioni nel deserto non fanno altro che allontanarsi man mano che noi cerchiamo di raggiungerli, ossia ritenere che calcoli attuali abbiano risultati futuri, che ciò che oggi è passivo sarà attivo solo domani basta attendere. Chi viene accusato di ideologismo è in realtà molto più pragmatico di chi si pone in antitesi con quello stesso ideologismo che è poi quello che si realizza nelle loro stesse parole, l'illusione che la sola razionalità possa risolvere i problemi dimenticandosi che l'uomo è fatto non solo di ragione, ma pure di passioni e sentimenti, un'anima e un corpo.
Il fatto è che la soluzione è alla portata è vicina, rinunci ad un modello e ne crei un altro. Ma ciò è impossibile secondo i più, tale modello è insostituibile lo ricalco, e facendo così mi allontano sempre di più dalle esigenze di un mondo la cui Natura diviene sempre più artificiale e priva del suo antico splendore.  

venerdì 16 ottobre 2015







 Torniamo per un attimo a Hegel, mi interessa evidenziare la sua logica triadica, che lui poi applicò a varie importanti tematiche che fanno sempre parte del Mondo, dell'Uomo e della Società degli uomini: Tesi - Antitesi - Sintesi.
Se consideriamo un esempio tipico di comunità civile di uomini all'interno di uno Stato, non possiamo che distinguere tra il contesto privato in cui vive il cittadino, la famiglia, il lavoro, i parenti e amici, i rapporti di scambio sociale in denaro, ma pure in interessi, passioni, amicizie, e l'aspetto pubblico che è quella responsabilità civile del cittadino nel confronto delle leggi che deve osservare secondo quel patto, dacché l'uomo si è organizzato collettivamente mettendo a capo un Re, un tempo, oggi lo Stato, che è quel patto che impone al singolo di non farsi la guerra l'un l'altro, seguendo quelle regole autoimposte e il cui controllo viene affidato appunto a quelle autorità nazionali di cui sopra, unico modo per poter convivere pacificamente e non vivere in un ambito incivile in perenne guerra, (Hobbes). Insomma un cittadino a due facce, il citoyen e il burgois, direbbe Marx. Per Hegel, la famiglia privata non può non riconoscersi alla fine nello Stato proprio perché l'antitesi della famiglia, all'interno delle cerchie corporative lavorative e sociali, il tessuto privato, è il suo ruolo pubblico, tassello, filo di quella tela che è lo Stato, la burocrazia, cioè il risultato, la sintesi, l'autorealizzazione della famiglia, del privato nello Stato stesso. E questo indipendentemente da ogni possibile contraddizione che vi potrebbe essere all'interno di quella tela, tessuto metafora di quella che è una Nazione in cui i cittadini ben si riconoscono nella loro autorità impositiva del governo di uno Stato. Nella filosofia hegeliana la sua logica triadica è un divenire dove avviene la realizzazione dello Spirito Assoluto e pure la storia non sfugge a questa logica. Nell'opera hegeliana la "Fenomenologia dello Spirito", l'uomo è parte di questo processo sempre secondo un percorso triadico. Il servo (tesi), lavorando assiduamente per il padrone (antitesi), diverrà egli stesso in futuro padrone che però ha sintetizzato in sé pure quel che era stato, cioè servo (sintesi).






 Pure la storia la potremmo considerare sotto questo andamento triadico che in fondo, se ci pensiamo bene, è di matrice teologica. Il presente è la sintesi del passato che aspirando al presente che per lui era un possibile futuro, poi vi è giunto, un passato in potenza che aspirando ad un futuro lo sintetizza e lo raggiunge in quello che è divenuto un nuovo presente. Aristotele direbbe appunto un ente la cui trasformazione, cambiamento, mutazione passa dallo stato potenziale alla forma conseguita. Marx il quale si collocava dopo Hegel nella sinistra hegeliana, già contestava il fatto che le considerazioni di Hegel applicate alla sua opera "Lineamenti di filosofia del diritto", non tenevano conto che era sin troppo semplice appianare le mille contraddizioni di una società attraverso una logica triadica che vedeva l'individuo, la famiglia, sempre ben realizzati in una società, soprattutto nello Stato, ma in realtà quelle contraddizioni erano tutt'altro che appianabili. La povertà, il duro lavoro dei bambini nelle fabbriche, l'ingiustizia, erano elementi ben concreti che purtroppo nemmeno la filosofia hegeliana o comunque la filosofia in generale poteva appianare, in quanto astratta. Attraverso un capovolgimento della filosofia hegeliana per cui non bisogna partire dall'idea di Stato, ma piuttosto dalla società e come questa non sia altro che il prodotto degli uomini. La storia, gli avvenimenti, gli scambi economici dovuti a determinati tipi di produzione, ossia la struttura, poi determinano la sovrastruttura dei modelli economici, delle burocrazie che poi si attuano, e proprio per questo bisogna agire materialmente su questi rapporti di produzione economica se si vuole davvero raggiungere lo Stato idealizzato hegeliano dove il cittadino può riconoscersi democraticamente nel proprio Stato. Marx nella sua critica faceva riferimento allo stato prussiano, o a quello francese dove appunto le contraddizioni umane e sociali erano tutt'altro che risolte. Marx oltre che filosofo, si interessava di sociologia, economia. Egli riteneva che la filosofia avesse come lacuna il fare solo considerazioni astratte senza avere il coraggio di cambiare materialmente quella che era una società, quella dell'ottocento ormai industrializzata, dove il singolo, la famiglia, non erano per nulla realizzati nel contesto statale.
Il punto da cui partire era quello economico e nel "Capitale" Marx esprime tutte le sue perplessità.








 Marx accusò senza girarci troppo attorno il capitalismo in tutte le sue forme, mise in evidenza il concetto di plus-valore, di valore astratto, insomma di quell'accumulo di denaro, di quel tipo di economia capitalista, finanziaria che oggi per molti aspetti è sotto accusa, soprattutto dopo le bolle speculative americane che hanno messo in difficoltà l'Europa. Da sempre il dibattito, economico, politico, è stato se il sistema capitalista non stia arrivando al collasso, quali modelli economici innovativi bisognerebbe seguire soprattutto ora che ci si è resi conto che ci vuole sempre gente che acquista merci, altrimenti chi le produce si trova in una situazione di sovrapproduzione, vedi crisi del '29, in cui le aziende fallirono e la borsa crollò per eccessiva vendita azionaria. Allora si proposero modelli alternativi alle concezioni economiche classiche vedi l'economista Keynes, il quale metteva in evidenza che la circolazione di moneta tendeva per natura a diminuire, in quanto chi ne aveva in sovrabbondanza, non la spendeva tutta, ma l'accumulava, mentre altri, quelli più poveri alla fine ne disponevano sempre di meno. In pratica l'attuale sistema economico proprio per la sua stessa natura è un modello condannato ad esaurirsi col tempo, soprattutto dopo le rivoluzioni industriali in quanto ha sempre maggiori ritmi produttivi, con grande dispendio di energia e di macchine, ossia l'offerta produttiva è condannata a far sempre più fatica ad incrociarsi con una domanda sempre più esigua, soprattutto per la disoccupazione. La disoccupazione, elemento questo centrale nel dibattito politico, c'è chi dice oggi che con nuove riforme la disoccupazione diminuirà, ma il modello capitalista centrale resta sempre lo stesso e allora c'è da chiedersi: esiste un modello anticapitalista attuabile o no? Il marxismo nei suoi esperimenti sovietici, cubani, cinesi sono riusciti efficacemente a creare modelli economici alternativi o no? Potremmo per ore disquisire se il marxismo sia stato giusto o ingiusto, pacifico o sanguinario. Conosciamo le vicende storiche dell'Unione Sovietica, all'ombra dei Soviet i bolscevichi ebbero la meglio sui menscevichi e dopo il ritorno di Lenin in Russia, dopo la NEP, Nuova Politica Economica con la quale venne redistribuita la terra ai Kulaki, ossia quei contadini eredi di quei servi della gleba, che seppur affrancati da quella schiavitù dallo Zar Alessandro II nel 1861, erano comunque rimasti poveri e affamati e senza terra. La vera rivoluzione fu questa, solo che Stalin la volle poi allargare in ambito industriale. L'Unione Sovietica cui aspirava Stalin era uno stato industrialmente potente che vedeva però la deportazione di intere popolazioni, i gulag, e i "nemici del popolo", ossia coloro che cadevano in disgrazia e venivano cancellati persino
dalle fotografie.







Quindi oggi come possiamo interpretare una possibile dittatura del proletariato quando ci rendiamo ben conto che il proletariato non esiste più, si è estinto?
Eppure le industrie continuano a produrre solo che c'è meno bisogno di operai. Facendo un esempio abbiamo 20 fabbriche che producono un milione di prodotti che verranno consumati da 500.000 persone, e per far questo impiegano 20.000 operai. E' un esempio con numeri a caso. Le altre 480000 persone saranno lavoratori di altre aziende o fabbriche. Queste 500000 persone sono lavoratori, operai, ma pure acquirenti dei prodotti delle fabbriche. Oggi queste ultime sempre più automatizzate necessitano di sempre meno operai, sicché un numero crescente di essi si troveranno senza risorse e non compreranno quei prodotti. Le fabbriche si ritroveranno progressivamente in sovrapproduzione, vendendo meno licenzieranno ulteriormente allargando la forbice della disoccupazione. E comunque viene a crearsi una concorrenza spietata in tutto il mondo le aziende per vendere abbassano i prezzi e quindi cercano manodopera a basso costo che trovano in Cina, in India e in tutto il mondo, dove chiaramente non vi sono diritti sindacali. Ma nonostante che sia chiaro che tutto questo processo non è altro che un fiume la cui acqua inevitabilmente finirà nel gorgo dell'autoannullamento, in quanto mi sembra chiaro che tutto ciò non è altro che una rincorsa al ribasso dei prezzi e dei salari, e una crisi delle economie interne a stati occidentali come l'Italia che non riescono a realizzare un soddisfacente mercato interno, in quanto meno soldi ci sono, minore è la domanda e minore alla fine la produzione. Del resto è ovvio, si è passati dal fordismo degli anni '50, anni in cui molti lavoravano e spendevano e le fabbriche aggiungevano prodotti nei magazzini, ad oggi che in pieno toyotismo il magazzino non c'è più, la produzione ha cambiato forma. Vediamo quindi come la diversificazione della produzione, ha un impatto sociale che poi si traduce in termini politici. Nuove leggi, minor welfare, minori diritti per rincorrere l'onda del momento, l'onda che ci dice che non possiamo far altro che seguire il fiume per sparire poi in quel gorgo. E gli economisti si rompono il capo per far quadrare il cerchio. E' un po' come se ci si sforzi di descrivere un sistema eliocentrico mantenendo un modello geocentrico, tipo quello tolemaico.








 Ma allora ci possiamo chiedere, quale può essere la via di uscita, come uscire da un modello geocentrico che forse una volta, negli anni '50 poteva andar bene ma oggi è chiaramente alle corde, perché il mondo cambia, la tecnologia, l'immigrazione dovuta a guerre, cambiamenti climatici e tutti quegli intoppi causati da politiche frammentate in un mosaico di interessi diversi? C'è qualche filosofo che asserisce che le teorie marxiane non sono più applicabili in quanto seppur avevano evidenziato i limiti del capitalismo e come esso stesso si fosse trasformato in ideologia e tutta l'umanità non vedesse via d'uscita allo stesso capitalismo, che pur nella sua auto-contraddittorietà, sembrava un sistema economico insostituibile, anche Marx, pur con il suo materialismo storico, con la sua speranza di poter cambiare questo modello economico, era da consegnarsi all'ideologia. I sessantottini di un tempo, che poi alla fine restarono inorriditi dopo le primavere di Praga e soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, ormai Marx per loro è solo un mito del passato. Vi sono filosofi che protestano e vorrebbero riesumare Marx, ma purtroppo si fa fatica, specie oggi che tutto è cambiato, la crisi dei valori, il nichilismo, l'individuo post-moderno la cui anima è ormai on-line. Proprio alla luce di tutte queste considerazioni vorrei esprimere una mia idea di quello che sta avvenendo, provando ragionandoci un po' sopra e alla luce delle considerazioni già fatte in interventi precedenti sul divenire del Mondo, dell'Uomo, e della Società, se è vero che l'uomo in potenza faccia fatica ad attuare nuovi modelli economici, se questo passaggio dalla potenza all'atto del nostro processo storico sia davvero bloccato dal Capitalismo e se davvero se ne può uscire o se ne siamo definitivamente prigionieri, o se è destino che in quanto la Terra gira, Capitalismo o anti-Capitalismo, alla fine le cose cambieranno comunque.
Precedentemente ho fatto l'esempio della logica triadica di Hegel, ma potrei portare pure l'esempio di Aristotele, la storia la possiamo vedere svilupparsi come eventi che si attueranno potenzialmente nel futuro e diverranno atti in altrettanti presenti. Quel che è cambiato in questi tempi è la velocità di questi cambiamenti e tutto ciò è direttamente proporzionale all'avanzamento tecnologico delle comunicazioni. Oggi si trasmette via Radar, su fibra ottica, doppini telefonici, impulsi elettrici. Un tempo questi impulsi davano analogicamente delle informazioni che oggi sono bit, ossia uni e zeri. Boole inventò la sua famosa algebra, la cosa curiosa è che l'algebra di Boole per molti versi trae spunto da Frege e la sua logica. Frege era un filosofo. Ciò che è logico in elettronica è true or false, vero o falso, uno o zero, 1 o 0. I bit non sono altro che uni o zeri che circolano nei microprocessori dei computer, poi modulati o demodulati passano attraverso i vari mezzi di trasmissione. L'uomo ha creato una sorta di pensiero globale artificiale, che attraverso software e hardware riesce a mettere in comunicazione dati pensieri, informazioni ad una velocità spaventosa. Peraltro asserire che dall'oggi al domani l'uomo possa fare a meno della propria tecnologia è un'assurdità, l'uomo primitivo, scoperta la selce e il fuoco non ne poteva fare più a meno. Però oggi la tecnologia ha un notevole impatto sulla velocità delle trasmissioni, sulla velocità di trasformazione, mutamento degli avvenimenti, sulla velocità della storia.
Prima si parlava di ente che da potenza si trasforma in atto. Oggi questa trasformazione avviene in una velocità che ha uno spazio temporale estremamente piccolo. Dalle potenze abbiamo subito atti, alla fine ci troviamo sempre in atto. La storia attuale è di atti, quindi seppur gli avvenimenti scorrono velocemente sembra di vivere in un continuo presente. In questo presente è minimamente impensabile poter cambiare un modello economico, per lo meno non non in termini marxisti, a meno che non intervengano crisi enormi, guerre, carestie, avvenimenti storici che per forza di cose non cambino in modo radicale ciò che avviene oggi.
Purtuttavia l'uomo alla fine non potrà che fare i conti con le contraddizioni dei suoi stili economici e produttivi. Il fatto è che Marx ha evidenziato la contraddittorietà del nostro sistema economico e pur demonizzando il cosiddetto "comunismo", comunque alla fine o l'umanità troverà accorgimenti per risolvere l'impatto sociale che certi modelli economici nel prossimo futuro avranno in misura sempre maggiore o in ogni caso la storia andrà avanti, le contraddizioni daranno i loro frutti in un ulteriore decadimento della civiltà umana e comunque come già scrivevo in altre righe, in altri miei scritti su questo blog, non si può fissare un'idea in eterno, la realtà muta comunque e si porta con sé ogni idea, in quanto se per davvero esistessero teoremi eterni, oggi non ci troveremmo al punto in cui siamo ma dovremmo discutere di ciò che gli uomini discutevano in epoca micenea, per fare un esempio, cioè di cose di cui l'umanità ha conservato solo il mito in quanto la storiografia è iniziata dopo, si parla appunto di epoche preistoriche. Del resto pure in epoche storiche un'economia spartana era molto differente da quella ateniese. 

lunedì 27 luglio 2015

 Tuttavia a questo punto ci sarebbe da pensare se aveva ragione Parmenide o Platone. Il primo asseriva che l'essere concepibile come quel "tutto che ci circonda" e di cui facciamo parte e che esiste, non può non esistere e quindi "non essere". Dire che "l'essere non è" è una contraddizione che però Platone risolve nel suo dialogo "Il Sofista". L'autore ad un certo punto scrive che l'Essere in un certo senso può non essere, ossia non può esistere che la Luna compaia e non compaia allo stesso tempo nel cielo, e questo è il principio fondamentale di ogni logica che si rispetti e su cui l'uomo ha costruito la propria impalcatura scientifica che è il tramite per cui l'uomo può prevedere effetti e conseguenze che anzi per via sperimentale ha imparato a creare lui stesso. Sì quindi l'uomo in una impalcatura metafisica ha proiettato nell'universo quei numeri, l'uno, la monade, l'unicità, il due, la molteplicità.
Quindi quando parliamo di ontologia e di enti facciamo riferimento a singoli aspetti di una realtà che si fonda però su di un sostrato, un essere di cui l'uomo non può percepire la vera portata e qui è da chiedersi se da questo punto di vista il mondo sia una rappresentazione (Schopenhauer) e sotto questa prospettiva non abbia una realtà in sé, un noumeno sconosciuto all'uomo (Kant). Un mondo solo a misura dell'uomo quindi? E cosa percepiamo della realtà, questa è davvero insondabile? Ma altri esseri viventi in questo universo, quali matematiche, quali leggi fisiche costituirebbero loro metafisiche, ulteriori apparenze che sempre tangono la realtà in sé, un essere comunque impercepibile all'uomo?
Quindi alla fine lo stesso problema si ripropone, da un lato ci siamo noi uomini con i nostri processi cognitivi, dall'altra parte c'è l'oggettualità del mondo che ci sta di fronte, e in mezzo resta l'interrogativo di cosa ancora ci sfugge di quel mondo, e ci sfugge ancora molto, allora allunghiamo i telescopi.
La molla insomma sembra essere l'inesauribile curiosità umana che non si accontenta di pensare ad un Dio a priori, ma si sforza di trovare risposte rimanendo in una dimensione intermedia, la matematica ci aiuta in questo e diviene un tramite tra noi e il mondo. I numeri, il calcolo, quella logica platonica che è riuscita a scalzare l'apparente illogicità dell'assunto parmenideo. L'essere può non essere e da ciò scaturiscono leggi che divengono verità e teoremi su cui l'uomo ha costruito quell'impalcatura che oggi l'aiuta a procedere il quel lungo e apparentemente infinito cammino che è la sua scienza.
Inoltre vi è pure uno sguardo ulteriore che possiamo dare al mondo, quello morale. Esistono le azioni del Mondo e quelle dell'uomo. Lassù nel cielo ad anni luce di distanza una intera galassia può collassare su sè stessa, innumerevoli mondi scomparire in un attimo, ed altri formarsi in tempi così dilatati per la nostra limitata concezione temporale che solo calcoli matematici possono misurare per interpretarne la durata. Ma quel che conta del ragionamento è che ad un tratto tutto scompare per tornare sotto altre forme, altri mondi. E vi sono pure le azioni umane. Noi per comodità distinguiamo tra bene e male. Ciò che è bene, come direbbe Kant è ciò che conviene all'uomo tutto sommato in quanto il male, pure da un punto di vista razionale implica caos, morte, disgrazia tragedia. La Tragedia appunto che vede l'Edipo ad un tratto capire, comprendere come erano andate tutte le cose, ma appunto per questo affondare nell'estremo dolore che è pure quello che katarticamente solleva gli spettatori di uno spettacolo tragico di un Sofocle o di un Euripide.
Allora ci potremmo chiedere se davvero il confine tra bene e male, sia dettato più dalla razionalità umana, rispetto alla globalità dell'essere in cui la stessa parola "male" non ha senso. Noi finalizziamo ogni nostra scelta al bene per noi, ed è giusto questo, giammai potremmo preferire il male al bene. Tuttavia uno sguardo a tutto questo solo da un punto di vista razionale non è sufficiente. L'uomo può armarsi di coraggio sostenere la sofferenza elaborando razionalmente ciò che è bene per lui, resistere, salvo poi inevitabilmente scivolare e cadere.
Se leggiamo la poesia "Veglia" di Giuseppe Ungaretti, tratta dalla raccolta l'"Allegria", scorgiamo queste parole: "Un'intera nottata buttato vicino
a un compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio...".
La Luna sembra indifferente di fronte alla morte, e al termine della poesia Ungaretti: "Non sono mai stato tanto attaccato alla vita.".







 La sofferenza fa parte della vita, ne è una parte inscindibile e quindi vi è qualcosa di più profondo di una semplice elaborazione razionale della sofferenza, aspetto celebrato pure da un "neo-stoicismo" che poi ha compreso tutti i suoi limiti. Ma vi è un qualcosa in più, la tragedia ci insegna, anche come pura rappresentazione artistica, che paradossalmente proprio nella sofferenza estrema, nell'estremo sacrificio l'uomo nel lampo di un attimo diviene parte partecipe consapevole di quel tutto che è la Natura, l'essere, il Mondo.
E qui tornando ad Hölderlin, vediamo come nel suo "Empedocle", avvenga proprio questo estremo sacrificio, l'uomo si getta nel vulcano e nell'estremo gesto avviene l'unione con il tutto dove il futuro diviene presente e il passato futuro.
Lo stesso Freud attraverso una rielaborazione della sofferenza del paziente vicino allo psicoanalista, attraverso una dolorosa presa di coscienza della propria sofferenza, sembra katarticamente uscire da quello stato di dolore in una compartecipazione con il tutto che lo pone su di un piano diverso, un piano difficile comunque da tollerare per l'uomo che oggi preferisce far sparire il problema attraverso costrutti razionali che se non eliminino per lo meno allontanino quella parola orrenda che è la "morte", difficile da elaborare anche per chi al termine della propria vita deve per forza elaborare.

Da tutto questo però nasce un problema cruciale, se la scienza fatta di leggi teoremi, costrutti matematici che si fanno formule fisiche che descrivono fenomeni naturali e servono all'uomo non solo per comprenderli ma pure per riprodurli, fanno parte o meno dell'essere, davvero esiste una metafisica separata da tutto il resto, un mondo dietro al mondo dove trovare verità certe?
Tornando a Giuseppe Ungaretti dalla sua raccolta di poesie "Porto Sepolto", che verrà racchiusa nella successiva "Allegria", il poeta è proprio colui che si getta nel profondo degli abissi, il quel porto sepolto di origine pre-alessandrina, di quell'Alessandria d'Egitto dove Ungaretti visse la sua infanzia e adolescenza.
In questo scavo nel profondo il poeta va laggiù in quel luogo irraggiungibile, infinito nella sua profondità che costituisce l'animo più intimo del poeta che dopo, come una Sibilla riversa il suo messaggio ovunque per l'umanità.
Ma pure lo scienziato, mentre cerca di verificare un'idea, attraverso ragionamenti induttivi cerca di capire se un dato esperimento dia come risultato effetti che magari si era immaginato precedentemente. Questo immaginare dello scienziato che assomiglia allo scavo poetico di cui prima, riposa nella sua intuizione che qui è da capire se faccia parte dell'aspetto prettamente sperimentale fatto di cause ed effetti; in fondo tutto ciò che ci circonda, l'ambiente, lo spazio è fatto di cause ed effetti che implicano il tempo e il moto per lo meno come noi lo pensiamo guardando l'orologio. La palla si sposta in un tempo che cambia due stati quello precedente e quello conseguente. Tutto questo costituisce la rappresentazione che noi abbiamo del mondo e che di solito è l'Intelletto ad elaborare attraverso le sensazioni. Ma l'intuizione fa parte dell'Intelletto, di questa concatenazione di cause ed effetti o sorge dal più profondo? Lo scienziato ha un'idea, per esempio, il "principio di relatività generale", ma poi deve dimostrare matematicamente che la sua teoria è vera. Lo scienziato raggiunge la verità sì, ma dopo averla immaginata. Vi è un qualcosa di ulteriore che non può scindersi dall'essere in quanto tale, e da ciò che costituisce l'anima diciamo così dello scienziato, non c'è materia senza forma, pensiero senza realtà.
Ma tutto questo ci porta a vedere la metafisica come un qualcosa di unito al tutto. Se noi cementifichiamo il mondo, lo trasformiamo, siamo sempre all'interno di esso, della Natura. Ciò che ci sembra sempre innaturale in realtà è naturale, solo che a noi fa male.
Se un giorno il mondo dovesse distruggersi per causa nostra, lo spazio eterno non farebbe una piega, solo per noi sarebbe un triste destino.
Quindi vediamo che ogni etica, ogni morale, non può perdere di vista l'uomo, in quanto è solo rispetto a noi stessi che possiamo compiere le nostre scelte, e non in confronto agli spazi siderali.
Tuttavia purtroppo la sete di conoscenza umana ha perso di vista l'uomo stesso. La bellezza perfetta del pensiero umano cede il posto alla volontà di costruire l'uomo dal pensiero artificiale perché meglio si adatta a quel tutto degli spazi del tutto infinito spazio siderale, in cui l'uomo in sé perisce, ma ciò perde importanza, perché l'uomo nuovo è artificiale e ben si adatta ad una scienza che purtroppo ha perso di vista l'uomo in quanto tale.

Questo purtroppo è secondo me il punto critico, non tanto la scienza deve lamentare l'oscurantismo del filosofo che protesta, ma il timore di quest'ultimo che ogni uomo e scienza umana che fa capo all'uomo appunto costituisca per lui un pericolo, in primis per la filosofia la quale purtroppo è sempre meno considerata e anzi la si vorrebbe ridotta a rango di scienza, ma non si è capito che le sta in realtà di fronte, scienza è solo una parola, il significato vero è per me ancora insondato, non basta una concatenazione di fatti sebbene continuamente valutati da un'equipe scientifica.

Durante la rivoluzione industriale precedente, un singolo uomo aveva un'idea e poi la sviluppava, vedi Volta, Nikola Tesla. Oggi invece tutto viene organizzato, c'è un gruppo di lavoro che porta avanti un progetto, c'è da chiedersi se non sia il progetto a portare avanti il gruppo di lavoro e il primo purtroppo non è frutto d'intuizione, ma di continuo perseguimento di una strada verso un obiettivo che però perde di significato e da questo punto di vista questa ricerca umana si insabbia. Ma queste ultime sono solo miei pensieri e che il lettore li prenda come tali.

Il pericolo insomma è che l'uomo perda di vista la propria capacità intuitiva e quindi pur essendo parte del tutto che costituisce l'Universo, alla fine se ne distacchi e quindi con ciò venga a confermarsi quello che pensava Hölderlin, man mano che l'uomo estende la sua conoscenza di tutto, perde di vista la conoscenza di sé e diviene ignoto a sé medesimo e per questo ha bisogno di un altro suo simile una proiezione di sé per lui perfetta che gli permetta di restare sintonizzato con un mondo che pian piano gli sfugge.