sabato 24 ottobre 2015

Quel che penso quindi è che nemmeno la filosofia marxiana sia riuscita ad essere esaustiva nel risolvere le problematiche della società, in particolar modo non solo quella della seconda metà dell'800, ma pure quella moderna e oggi post-moderna. Ossia la critica dell'idealismo di Hegel, con annessa una critica di un materialismo che secondo Marx alla fine non faceva altro che ricondursi allo stesso idealismo. L'incapacità di sanare davvero tutte quelle contraddizioni che caratterizzavano l'epoca del filosofo, ma pure economista, sociologo Marx, in un periodo storico in cui già si affacciavano le problematiche dovute alla massificazione di una società che risentiva delle trasformazioni produttive, sempre più frenetiche e iniziatrici di quelle dinamiche finanziarie che oggi vedono la loro totale maturazione e forse pure decadimento.
Ora facendo un salto all'indietro, parliamo un attimo del IV secolo A.C ad Atene, culla della civiltà democratica dell'antica Grecia. In Atene questo fu un periodo di crisi e di disgregazione sociale, l'equilibrio della società era stato messo in crisi dalla guerra del Peloponneso, ossia quella guerra combattuta tra il 431 A.C e il 404 A.C tra Sparta e Atene. Essa si concluse appunto nel 404 A.C con la vittoria della Lega Peloponnesiaca che aveva a capo Sparta. Gli agricoltori erano stati mandati in rovina dalla guerra, dalla crisi economica, dalle ferite occorse in guerra, impoveriti si trasferivano in città con il conseguente aumento della disoccupazione urbana, e dei disordini sociali. In questo panorama di scarsa speranza per il futuro, Platone (428-348 A.C) con la sua filosofia tentava di risolvere tutta questa serie di problemi che venivano a crearsi in una città retta da un governo oligarchico costituito dai trenta tiranni, imposto da Sparta, che oltre ad aver ottenuto una vittoria militare, ora imponeva pure una sua visione socio-politica. Fu appunto in questo contesto che Socrate, amico di Platone, sottostando alle leggi della città, bevve la cicuta e accettò di morire, rimarcando quindi come per questo filosofo fosse indispensabile per il cittadino osservare principi e leggi che costituiscono verità che non posso venire continuamente destituite di significato da chi in quel periodo travagliato della storia greca, metteva in vendita la propria capacità oratoria, mettendola al servizio di chi meglio sapeva pagare ottenere con il soldo la propria verità che si contrapponeva inevitabilmente ad altre verità, leggi ad altre leggi. Ogni legge o verità diveniva opinabile e di questo erano particolarmente esperti i sofisti.
Platone e il suo amico Socrate sentivano l'esigenza, nella loro epoca storica travagliata, di ritrovare verità che non fossero verosimiglianze, illusioni, ombre della verità che luminosa risplende in quell'Iperuranio platonico dove solo chi riesce ad elevarsi allontanandosi dalle opinioni, dalle doxa, per raggiungere finalmente quei bastioni solidi che sono i valori, le leggi che sole possono costruire una società in cui la civiltà umana possa davvero esprimere tutte le sue potenzialità.
Ed oggi a tanti secoli di distanza da quando visse Platone e Socrate, in fondo noi uomini del 2000, ci facciamo le stesse domande, dal momento che tutto viene posto in discussione e più nulla sembra certo e gli stessi canoni che hanno guidato sino ad ora le moderne democrazie sembrano vacillare di fronte a tante contraddizioni, sofferenze di un mondo che l'uomo ha creato ma in cui non tutti riescono a sopravvivere.
Quindi quali medicine poter fornire all'umanità ammalata sotto quel giogo che essa stessa si è creata, ossia quei modelli economici, che lo stesso Marx, tentò di mettere in discussione ma che continuano a permanere in quanto non sembra vi siano modelli alternativi.
Una di queste sicuramente non può che essere l'onestà, l'empatia per il prossimo, la solidarietà e la compassione. Come asseriva Platone, oggi c'è un gran bisogno di Giustizia, di ciò che è buono per noi, ciò che era bello per i greci, era anche buono. Ritrovare quella spinta in noi stessi che possa darci la convinzione di uscire da una spirale senza né più capo né coda. Lo spirito di adattamento dell'uomo, lo spinge a vedere nelle difficoltà che esso stesso si pone innanzi l'unica via da attraversare e adattandovisi se ne pone altre uguali in un circolo vizioso sempre uguale. L'eterno ritorno dell'uguale, noi uomini urleremo di paura per questo, ciò che è stato è esattamente uguale a quello che c'è e ci sarà diceva Nietzsche, ma noi possiamo ritrovare la strada, dico io, uscire dal circolo vizioso e pensare di poter fondare una civiltà migliore, spostarci dalla dimensione atomica democritea per cui siamo vittime e cozziamo tra noi casualmente come tante vetture che attraversano una rotonda, salvo urtarci qualche volta, e invece una visione finalistica della vita per cui è giusto che chi vive possa pensare ad un futuro diverso dal passato.
In fondo molti filosofi che intravvedevano la crisi dei valori che oggi è all'apice, speravano in un ravvedimento delle politiche, dei governanti, delle cattedrali governative, nella speranza che le guerre finissero, che l'uomo capisse che la vera felicità non è masochisticamente inseguire il sogno ancestrale di una rivoluzione semidivina nei confronti di una Natura da piegare oltre che da conoscere a tal punto da scoprirne tutti i segreti, ma al contrario sentirsi già compiutamente parte di quella Natura e quindi non vederla più né oggettivamente e nemmeno soggettivamente ma quanto un tutto di cui noi siamo parte. E in questo tutto che è l'essere dell'esistente, noi viviamo ma abbiamo pure i nostri valori, leggi eterne che non sono semplici idee proiettabili nell'Iperuranio.
Le leggi sono quelle che ci permettono di esistere come uomini nella Terra senza farci del male l'un l'altro, avendo rispetto per noi stessi. Esse oltre che da una logica che ci fa comprendere come il male alla fine sia uno svantaggio, sono leggi morali ed etiche che hanno una tradizione antichissima forse più antica dei testi biblici le cui radici affondano nella storia dell'uomo.
Da quando l'essere umano capì cosa era la morte e quindi ebbe un senso di pietà e dolore che lo contraddistinse dagli altri esseri della Terra.
La sensazione quindi è che oggi Giustizia e Leggi ci sfuggano. Chi ci governa proclama le proprie buone intenzioni e spesso cerca di appianare le varie divergenze, ma più appiana più i corni divergono tra loro, si contraddicono, testimoniano la loro assurdità. C'è chi protesta e perora la sua causa, ma è tutto inutile, "nel 2016, il debito si ridurrà, ...nel 2017, le cose andranno meglio,...solo nel 2020 l'Italia riuscirà finalmente ecc.". Tutto sembra essere spostato in un tempo ulteriore che metafisicamente si staglia oltre un orizzonte che alla fine però ti mostra sempre un mondo esattamente uguale a quello che si è lasciato, se non peggiore.
Quindi ciò che è metafisico non è tanto la cosiddetta "ideologizzazione" di chi pretende ed è giusto che sia così, che la propria condizione di povertà possa mutare, ma è piuttosto metafisica chi insiste a posporre il raggiungimento di obbiettivi che come illusioni nel deserto non fanno altro che allontanarsi man mano che noi cerchiamo di raggiungerli, ossia ritenere che calcoli attuali abbiano risultati futuri, che ciò che oggi è passivo sarà attivo solo domani basta attendere. Chi viene accusato di ideologismo è in realtà molto più pragmatico di chi si pone in antitesi con quello stesso ideologismo che è poi quello che si realizza nelle loro stesse parole, l'illusione che la sola razionalità possa risolvere i problemi dimenticandosi che l'uomo è fatto non solo di ragione, ma pure di passioni e sentimenti, un'anima e un corpo.
Il fatto è che la soluzione è alla portata è vicina, rinunci ad un modello e ne crei un altro. Ma ciò è impossibile secondo i più, tale modello è insostituibile lo ricalco, e facendo così mi allontano sempre di più dalle esigenze di un mondo la cui Natura diviene sempre più artificiale e priva del suo antico splendore.  

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